L’importanza dello showroom: intervista a Sabrina Scarpellini
L’importanza dello showroom: intervista a Sabrina Scarpellini
L’importanza dello showroom: intervista a Sabrina Scarpellini
L’importanza dello showroom: intervista a Sabrina Scarpellini
L’importanza dello showroom: intervista a Sabrina Scarpellini
L’importanza dello showroom: intervista a Sabrina Scarpellini

Un cigno nero: non ti rendi conto di averne bisogno finché non lo scopri.
Nasce così la storia dello showroom dedicato agli accessori, creato da Massimo Bonini e Sabrina Scarpellini negli anni’80 ed oggi meta dei buyer delle più belle catene distributive internazionali.
Così racconta il loro percorso Sabrina, che oltre ad essere una donna che ha segnato il proprio settore, è una piacevole interlocutrice che racconta i retroscena di uno dei mestieri meno conosciuti ma più importanti nella moda.
…
Anni 80, made in Italy in gran spolvero, terreno fertile per la moda. Come è nata in voi l’idea di uno showroom dedicato specificamente agli accessori e non all’outfit completo, scelta che si è rivelata assolutamente lungimirante?
È nato naturalmente, eravamo molto giovani e ci siamo chiesti, da appassionati della calzatura, come mai non ci fosse una realtà che facesse questo. Per noi era una sfida, poter lanciare dei designer creativi e di grande rottura. Erano gli anni in cui nasceva il pret a porter e Milano diventava il centro di questa tipologia di moda in cui i grandi stilisti diventavano sempre più importanti: erano gli anni di Armani, Versace, Ferrè …
Con chi avete iniziato?
Abbiamo iniziato con Stephane Kelian e alcuni brand francesi molto importanti e dai concetti forti e contemporanei e con la Kallistè, ancora oggi presente nel nostro portfolio. Avevamo poi Santoni che ai tempi era un piccolo brand. C’era anche Sebastian che ancora oggi è dei nostri. Avevamo già il livello di ricerca, Made in Italy del lusso che abbiamo oggi. A volte pensi di essere predestinato ed effettivamente per noi è stato così.
I primi clienti? All’inizio è stata dura. Nessuno era abituato a girare negli showroom, men che meno di accessori. Poi la situazione si è sbloccata e i nostri clienti provenivano da Giappone, Paesi Arabi, America.
Quali sono state le tappe fondamentali di crescita in questi 30 anni e quali le principali tappe critiche?
La guerra del Golfo creò gravi difficoltà al Made in Italy con le importazioni bloccate. Poi la caduta delle Torri Gemelle: inizio campagna vendita e tutti i buyer cancellarono i voli e per tre stagioni né abbiamo sofferto parecchio.
La crescita più pazzesca invece nel passaggio dalla Lira all’Euro: nel 2002 il Made in Italy si è appropriato del suo valore. Si è iniziato a spingere sui loghi. Questa crescita,poi, per quanto ci riguarda è continuata.
Quale è la differenza principale fra lo showroom degli anni 80 e quello odierno? Oggi potremmo dire che il vostro non è una semplice vetrina di compravendita ma un mondo a 360 gradi per la valorizzazione dei brand che seguite.
Amiamo definirci piattaforma. Per un brand che fa parte del nostro circuito vuol dire avere servizi a 360 gradi: il talento è essenziale ma poi si indirizza e si fa confrontare con il mercato. Abbiamo una conoscenza del prodotto di cui siamo specializzati: c’è stato un momento in cui si pensava che tutti potessero fare tutto ma si ha bisogno di conoscenze molto profonde. La produzione, le tempistiche, la realizzazione: sono dinamiche complesse. Chi abituato con l’abbigliamento non si rende conto quante più energie siano necessarie per creare una scarpa. Per questo è essenziale avere il commerciale integrato alla consulenza produttiva.
L’ufficio stampa integrato esiste da 25 anni: siamo stati precursori. è stata un’esigenza del mercato. Molti giornalisti che oggi sono importanti ci chiedevano scelte originali per servizi di moda così abbiamo iniziato ad avere persone dedicate all’ufficio stampa il che ha dato anche la visione a 360 gradi del prodotto.
Voi siete presenti anche a New York e a Hong Kong, pianificate o ritenete necessarie anche altre aperture e perché?
Stiamo valutando Shanghai ma quando abbiamo aperto Hong Kong era più facile andare la per noi occidentali che a Shanghai dove avevamo importanti barriere all’entrata. Nello specifico, New York è uno showroom operativo, Hong Kong di controllo: l’Asia è molto collegata a Milano, ed i clienti asiatici, come i Russi, fanno gli ordini a Milano o a New York.
Dove cercate i nuovi talenti, usate per questo anche internet, collaborate con le scuole della moda?
Oramai siamo una realtà conosciuta nel mondo dell’accessorio e i giovani stilisti si propongono a noi ogni giorno. Siamo alla continua ricerca del talento e dell’innovazione. Le scuole di moda ci conoscono e in questo settore è importante creare rapporti con queste istituzioni, da cui possono nascere collaborazioni molto prestigiose e importanti. Ci teniamo ad essere sempre aggiornati e nutriamo la nostra curiosità con la costante ricerca e l’informazione. Internet oggi giorno è sicuramente una fonte preziosa, un collegamento live con il mondo che ci circonda.
è ancora essenziale essere in Italia, partire dall’Italia per il fashion nel 2019?
Per noi è importante proporre brand Made in Italy. Nessuno è più bravo degli Italiani a produrre scarpe e borse. La nostra clientela, di un certo livello, li ricerca. Quindi siamo focalizzati su questo. Non è essenziale che lo stilista sia italiano e ci potrebbero anche essere eccezioni per il luogo di produzione, ma dovrebbe essere un prodotto sopra le righe. Noi non abbiamo limiti ma il mercato ama il Made in Italy.
Come è cambiato il vostro lavoro in un mondo che è sempre più digitale? Oggi siamo ai primi treni a vapore come momento di scissione. Come vi state attrezzando per l’arrivo nella moda dell’AI (intelligenza artificiale) con l’uso di realtà aumentata o realtà virtuale, sfilate e modelli in 3D ….
Lo showroom deve stare al passo con i tempi. Penso che nel nostro lavoro, vedere la collezione dal vivo, poter toccare il prodotto, i materiali sia importantissimo. Stiamo lavorando con molti strumenti a distanza, che sono importanti. Ma abbiamo capito che bisogna sempre vivere il prodotto e per quanto la tecnologia evolva, la realtà del tatto è ancora la soluzione migliore. Il nostro lavoro si sposa comunque bene con le nuove tecnologie, la nostra realtà e quella digitale non si scontrano, anzi si completano.
I buyer sono ancora importanti o si tende al B2C con shop on-line diretti?
Ci sono realtà molto importanti on-line e sicuramente la rivoluzione digital è stata un successo anche nel settore della vendita. Nonostante questo, anche grandi online shops sono molto spesso accompagnati e agevolati da uno o più punti vendita fisici.
Una volta le strategie erano molto più chiare ed accessibili. Ora non ci sono ricette per il successo. Ognuno deve trovare il proprio spazio in questo mondo e creare il proprio equilibrio; non esiste una via chiara da seguire o una strategia universale. Non ci sono consigli da dare. Noi crediamo nel bello e nel talento e garantiamo che ciò che proponiamo si differenzia e ha qualità. La moda oggi è in costante movimento e non bisogna mai smettere di cercare l’eccellenza.
Potranno le piattaforme (come Amazon, Farfech, Ynap …) sostituire la vostra funzione, passando da un rapporto B2B ad un B2C che vi bypassi o ritenete che il mondo fashion avrà ancora bisogno delle vostre competenze?
Sarà difficile eliminare completamente gli showroom che però dal canto loro dovranno essere molto più competitivi. Inoltre il lusso va per la sua strada, non vive su Amazon. Farfetch ha un buon modello ma sempre collegato al fisico e al palpabile. Queste piattaforme non sostituiranno il nostro lavoro, credo che il B2B e il B2C possano coesistere senza problemi.
Essere un buon designer o creare un brand sono due cose diverse…
Di questi tempi è facile sentirsi smarriti, viviamo in una realtà piena di stimoli e di opportunità. La distrazione è un grande problema, bisogna mantenere il focus. Quella di creare un brand è una scelta seria e impegnativa. Bisogna dedicarsi profondamente ed essere anche pronti a superare degli ostacoli. Non basta essere dei talenti, bisogna rimanere con i piedi per terra e proporre qualcosa di inedito e originale. Poi c’è la mentalità di crescita della gestione internazionale. L’Italia è un paese unico con tante diversità al suo interno che convivono con grande stile. Spesso le grandi multinazionali si valgono di testare i loro prodotti nel nostro paese e quando un brand ce la fa in Italia, può farcela ovunque!
E chi ce la sta facendo? Quale sarà il nuovo brand italiano che riuscirà a ripercorrere le orme dei vari Armani, Gucci …
Nel total look allo stato attuale i brand che stanno ottenendo un ottimo feedback sono MSGM, GCDS e N21. Nel settore degli accessori, solo da noi ne vedo più di qualcuno; Benedetta Bruzziches, creativa e femminile con le sue borse ma anche Giaquinto, dall’estetica raffinata e anticonformista e Andrea Mondin, dal gusto retrò e chic che ricorda una Hollywood di altri tempi.
Come pensate che sarà lo showroom Bonini fra 30 anni?
Lo vedo super cool. Lo vedo sempre più globale, internazionale, con brand che cambieranno e collezioni completamente diverse, ma sempre una realtà importante nel proprio settore, che continua a prosperare sulle tracce che abbiamo creato con mio marito negli ultimi 30 anni e portato avanti dai nostri figli che hanno accettato di seguire le nostre orme con grandissima passione. Noi viviamo la relazione con il designer e l’azienda e ci riteniamo fortunati di fare quello che amiamo.

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